Difficoltà scolastiche
È possibile distinguere tra difficoltà scolastiche e disturbi di apprendimento? Ci siamo posti questa stessa domanda nel 1991, cioè più di venti anni fa con colleghi impegnati nelle scuole di Modena, e abbiamo condotto una ricerca per verificare se era possibile distinguere questi due profili: quello del bambino che non si applica da quello del bambino con disturbi che oggi vengono definiti di natura neuropsicologica.
Svolgemmo un’indagine su 2000 bambini di quarta elementare e di seconda media incrociando due metodi di rilevazione: un questionario compilato dagli insegnanti su ogni loro singolo alunno, con il quale venivano identificati i bambini che la scuola giudicava con difficoltà nella lettura, nella scrittura o nel calcolo, e una serie di prove individuali, condotte con metodologie clinico-sperimentali, atte a verificare se i bambini avevano prestazioni che si discostavano dalla media dei loro coetanei, sempre negli stessi ambiti di abilità.
I risultati hanno mostrato che c’era una discrepanza fra quelle che venivano percepite dalla scuola come difficoltà scolastiche e le difficoltà di lettura, scrittura e calcolo misurate con strumenti psicometrici più oggettivi.
Mentre le difficoltà scolastiche raggiungevano percentuali vicine al 12 % nella scuola elementare di allora e superavano il 20% nella scuola media, i disturbi di lettura, scrittura e calcolo identificati con le prove individuali non superavano il 4-5% e si mantenevano stabili nei due ordini di scuola.
Il confronto fatto venti anni fa è utile ancora oggi per chiarire la differenza tra i giudizi espressi attraverso l’osservazione spontanea del comportamento, ancorchè prolungata nel tempo, e lo studio sistematico ma circoscritto, condotto con metodologie collaudate e prescrittive.
L’uno e l’altro dei due metodi osservativi sono utili per definire aspetti diversi del problema. Per esprimere un giudizio su un alunno in classe è senz’altro più utile il giudizio dell’insegnante che considera il comportamento del bambino nel gruppo, la sua attenzione, il suo grado di autonomia, la sua stabilità nel tempo ecc.
Per misurare un’abilità invece è necessario mettere il bambino in una condizione particolare che non sempre è possibile ricreare in classe. Deve essere esaminato individualmente, in condizioni ottimali di luce e di tranquillità, utilizzando prove specifiche e collaudate, proposte con un criterio ben definito in modo da poter replicare quelle condizioni ogni volta che è necessario e con qualsiasi bambino. Questo metodo viene definito semi-sperimentale perché tutte le condizioni ambientali e di stimolazione vengono mantenute fisse in modo che l’unico elemento che può variare è l’individuo con la sua specificità. È questo contesto, e solo questo, che ci consente di definire come adeguata o inadeguata una prestazione poiché le differenze tra due prestazioni possono essere riferite non all’ambiente ma al soggetto che la realizza.
Le condizioni in cui si svolge la prova possono essere definite ottimali e l’esperienza ce lo conferma, dato che è frequente sentirsi dire, quando il prodotto della scrittura dettata di un bambino, eseguita individualmente nel corso di una prova cronometrata viene mostrata ai genitori o agli insegnanti: “Ma questa non è la sua scrittura! Di solito scrive molto peggio e fa molti più errori!”.
Le condizioni che vengono create per le prove cliniche sono le migliori possibili, le più facilitanti, e non come credono erroneamente molte persone, condizioni stressanti e difficili. Il clinico in questo modo è certo che, se il bambino, nelle migliori condizioni possibili, mostra prestazioni inadeguate, allora le sue difficoltà scolastiche possono essere ricondotte a difficoltà individuali.
Ma se non si creano queste condizioni e il giudizio viene basato unicamente sull’osservazione in classe, durante un lavoro collettivo, disturbato dal rumore o dal compagno, o dallo stimolo più attraente che occasionalmente si presenta, è difficile capire a quale causa si possa attribuire l’insuccesso.
Ecco dunque spiegata la necessità di ricorrere a valutazioni specialistiche condotte in contesti diversi dalla scuola. Il giudizio dell’insegnante non viene messo in discussione in alcun modo, ma anzi viene integrato e arricchito da queste informazioni. Infatti, se dalla valutazione emerge che il bambino presenta prestazioni adeguate, allora bisognerà interrogarsi su quali altri fattori ambientali presenti in classe possono determinare le difficoltà scolastiche (instabilità attentiva, rapporto con i compagni o con l’insegnante. ecc.).
Ma se la prestazione valutata nell’esame individuale risulta inadeguata, allora si può immaginare come questa possa essere ulteriormente gravata dai fattori di rumore, velocità di esecuzione, richiesta di autonomia che di solito vengono richieste dall’attività in classe. Da qui derivano le necessità di adattamento della didattica, o dell’organizzazione della classe per rendere la strada del bambino, già difficile e in salita, meno ripida.